Sur Leibniz

Corsi Vincennes - St Denis
Cours du 22/04/1980

L’ultima volta, come d’accordo, abbiamo cominciato una serie di studi su Leibniz che dobbiamo concepire come introduzione ad una lettura – la vostra – di Leibniz. Per introdurre una chiarezza di tipo numerico, io vorrei numerare i paragrafi per non rischiare di mescolare il tutto. L’ultima volta, il nostro primo paragrafo era una specie di presentazione dei concetti principali di Leibniz. Sullo sfondo di tutto questo, c’era un problema riguardante Leibniz, anzi era forse qualcosa di molto più generale: che cosa significhi precisamente fare della filosofia, e abbiamo visto, partendo da una nozione molto semplice che fare della filosofia significherebbe creare dei concetti, come fare della pittura significa creare delle linee e dei colori. Fare della filosofia, significa creare dei concetti, perché i concetti non sono qualcosa di già preesistente. Non sono qualcosa che sia dato già tutto fatto, e in questo senso bisogna definire la filosofia come un’ attività creativa: creazione di concetti. Questa definizione sembrava convenire perfettamente a Leibniz che, precisamente in una filosofia d’apparenza fondamentalmente razionalista, si lascia andare ad una specie di creazione esuberante di concetti insoliti di cui ci sono pochi esempi nella storia della filosofia.
Se i concetti sono l'oggetto di una creazione, allora dobbiamo dire che questi sono firmati. C’è una firma, non che la firma stabilisca un legame tra il concetto e il filosofo che lo crea, sono molto di più i concetti stessi ad essere delle firme. Tutto il primo paragrafo aveva fatto venire in luce un certo numero di concetti propriamente leibniziani. I due principali che avevamo visto erano l’inclusione e la compossibilità. Tutti i tipi di cose sono incluse in certe altre cose, oppure inviluppate in certe cose. Inclusione, inviluppamento (avvolgimento, fr.enveloppement). Poi un tutt’ altro concetto, molto strano, quello di compossibilità: ci sono cose che sono possibili in se stesse ma che non sono compossibili con altre.
Oggi, vorrei dare come titolo a questo secondo paragrafo, a questa seconda ricerca su Leibniz, “Sostanza, Mondo e Continuità”. Questo secondo paragrafo si promette di analizzare più precisamente questi due concetti maggiori di Leibniz: Inclusione e Compossibilità.
Nel punto in cui ci siamo fermati l’ultima volta, ci trovavamo davanti a due problemi: il primo era proprio quello dell’inclusione. In che senso? Abbiamo visto che se una proposizione era vera, bisogna che in un modo o in un altro il predicato o l’attributo sia contenuto o incluso non nel soggetto, ma nella nozione del soggetto. Se una proposizione e’ vera, bisogna che il predicato sia incluso nella nozione del soggetto. Lasciamoci andare, diamo fiducia a tutto questo, e, come dice Leibniz, se Adamo ha peccato bisogna che peccato sia contenuto o incluso nella nozione individuale d'Adamo. Bisogna che tutto ciò che accade, che tutto ciò che si può attribuire, tutto ciò che si predica di un soggetto sia contenuto nella nozione del soggetto. E’ una filosofia della predicazione. Davanti ad una proposizione così strana, se accettiamo questa specie di scommessa di Leibniz, ci imbattiamo da subito in alcuni problemi. A ben vedere, se un evento qualunque, un evento qualunque che concerne tale nozione individuale, come Adamo o Cesare – Cesare attraversa il Rubicone, bisogna che attraversare il Rubicone sia incluso nella nozione individuale di Cesare – molto bene, d’accordo, siamo tutti pronti a sostenere Leibniz. Ma se diciamo questo, non possiamo più fermarci: se una sola cosa e’ contenuta nella nozione individuale di Cesare, come “attraversare il Rubicone”, bisogna proprio che di effetto in causa e di causa in effetto, la totalità del mondo sia contenuta in questa nozione individuale. In effetti, attraversare il rubicone ha esso stesso una causa che deve a sua volta essere contenuta nella nozione individuale, ecc., ecc., all’infinito, salendo e discendendo. A questo punto bisogna che l’impero romano che, in generale, scaturisce dall’ attraversamento del Rubicone, e che tutte le vicissitudini dell’impero romano, bisogna che in un modo o nell’altro esse siano incluse nella nozione individuale di Cesare. Così che ogni nozione individuale sarà gonfiata dalla totalità del mondo che essa esprime. Essa esprime la totalità del mondo. Ecco che la proposizione diventa sempre più strana.
Ci sono sempre stati dei momenti deliziosi nella storia della filosofia e uno di quei momenti fu quando l’estremo limite della ragione, voglio dire quando il razionalismo spinto al limite delle sue conseguenze generò e coincise con una specie di delirio. E fu un delirio della follia. In quel momento si assiste ad una specie di corteo, di sfilata, in cui sono la stessa cosa il razionale spinto fino al limite della ragione e il delirio, ma il delirio della follia la più pura. Quindi ogni nozione individuale, se è vero che il predicato è incluso nella nozione del soggetto, bisogna proprio che ogni nozione esprima la totalità del mondo, e che la totalità del mondo sia inclusa in ogni nozione. Abbiamo visto che ciò conduceva Leibniz ad una teoria straordinaria che, la prima grande teoria della filosofia della prospettiva, o del punto di vista, poiché ogni nozione individuale sarà detta esprimere e contenere il mondo; si, ma da un certo punto di vista che e’ più profondo, a ben vedere è la soggettività che rinvia alla nozione di punto di vista e non la nozione del punto di vista che rinvia alla soggettività. Ciò avrà molte conseguenze in filosofia, a cominciare dall’ eco che si farà sentire in Nietzsche nella creazione di una filosofia prospettivista.
Il primo problema è questo: quando affermiamo che il predicato è contenuto nel soggetto, ciò supponeva che venisse sollevata ogni sorta di difficoltà, a ben vedere, le relazioni possono essere riportate a dei predicati? Gli eventi possono essere considerati come dei predicati? Ma accettiamo tutto questo. Non possiamo dare torto a Leibniz se non partendo da un insieme di coordinate concettuali (diverse) da quelle di Leibniz. Una proposizione vera è tale che l’attributo è contenuto nel soggetto, vediamo bene cosa ciò può voler dire al livello delle verità d’essenza. Le verità d’essenza, ossia le verità metafisiche (riguardanti Dio), o le verità matematiche. Se io dico 2 + 2 = 4, ci sarebbe molto da discutere al riguardo, ma capisco immediatamente ciò che Leibniz vuol dire, sempre indipendentemente dalla questione se abbia ragione o torto, è già così difficile sapere cosa qualcuno stia dicendo, se poi, ci domandiamo se ha ragione, ma non abbiamo finito. 2 + 2 = 4 è una proposizione analitica. Io ricordo che una proposizione analitica è una proposizione tale che il predicato è contenuto nel soggetto o nella nozione del soggetto, in altre parole è una proposizione identica o riducibile all’ identica. Identità del predicato con il soggetto. In effetti, ci dice Leibniz, io posso dimostrare, alla fine di una serie di passi, di un numero finito di tappe operative, io posso dimostrare che 4, in virtù della definizione, e 2 + 2, in virtù della loro definizione, sono identiche. Posso veramente dimostrarlo? E in che modo? Evidentemente io non pongo il problema del come? In generale si capisce cose vuol dire: il predicato è compreso nel soggetto, ciò vuol dire che, alla fine di un insieme di operazioni, io posso dimostrare l’identità dell’uno con l’altro. Leibniz fa un esempio in un piccolo testo che si chiama “Della libertà”. Dimostra che ogni numero divisibile per dodici è per ciò stesso anche divisibile per sei. Ogni numero dodicinale (doudenaire) è sestiario (sexaire). Notate che nella logistica del XIX° e del XX° secolo, voi ritroverete delle dimostrazioni di questo tipo che hanno fatto, com’ e’ noto la gloria di Russell. La dimostrazione di Leibniz è molto convincente: dimostra dapprima che ogni numero divisibile per dodici è identico ai divisibili per due, moltiplicati per due, moltiplicati per tre. Non è difficile. Dimostra anche che divisibile per sei è uguale a divisibile per due, moltiplicato per tre. Cosa voleva dirci? Ci ha fatto vedere un’inclusione poiché due moltiplicato per tre è contenuto in due moltiplicato per e moltiplicato per tre.
E’ un esempio, ci fa capire al livello delle verità matematiche che noi possiamo affermare che la proposizione corrispondente è analitica o identica. Cioè che il predicato è contenuto nel soggetto. Ciò vuol dire, alla lettera, che io posso fare in un insieme, in una serie d’operazioni determinate, una serie finita di operazioni determinate – e su questo insisto -, io posso dimostrare l’identità del predicato con il soggetto, o io posso far sorgere un’inclusione del predicato nel soggetto. Ed e’ lo stesso. Io posso manifestare questa inclusione, io posso mostrarla. O io dimostro l’identità oppure mostro l’inclusione. Ha mostrato l’inclusione quando ha mostrato, per esempio... [????] una identità pura sarebbe stata: ogni numero divisibile per dodici è divisibile per dodici, ma qui siamo davanti ad un altro caso di verità d’essenza: ogni numero divisibile per dodici e’ divisibile per sei, questa volta non si accontenta di dimostrare un’identità, mostra un ‘inclusione alla in base al risultato di una serie di operazioni finite, ben determinate.
Queste sono le verità d’essenza. Io posso dire che l’inclusione del predicato nel soggetto e’ dimostrata dall’analisi e che questa analisi risponde alla condizione di essere finita, cioè che essa non comporta che un numero limitato di operazioni ben determinate. Ma quando io dico che Adamo ha peccato, o che Cesare ha attraversato il Rubicone, che cos’e’? Ciò non rinvia più ad una verità d’essenza, c’è una data, Cesare ha attraversato il Rubicone qui e ora, ciò ha un riferimento all’esistenza, Cesare attraversa il Rubicone solo se esiste. 2 + 2 = 4 si fa in tutti i luoghi e in tutti i tempi. Quindi, abbiamo tutte le ragioni per distinguere le verità d’essenza dalle verità d’esistenza.
La verità della proposizione “Cesare ha attraversato il Rubicone” non è dello stesso tipo di 2 + 2 = 4. Ma tuttavia, in virtù dei principi che abbiamo visto l’ultima volta, per le verità d’esistenza non meno che per le verità d’essenza, bisogna che il predicato sia nel soggetto e compreso nella nozione del soggetto; compreso quindi da sempre nella nozione del soggetto, è incluso da sempre che Adamo peccherà in tal luogo e a tal momento. E’ una verità d’esistenza. Non meno che per le verità d’essenza, anche nelle verità d’esistenza, il predicato deve essere contenuto nel soggetto. Non meno, vuol dire allo stesso modo. E in effetti, ed è questo il nostro problema, qual’ è la prima grande differenza che c’è tra la verità d’essenza e la verità d’esistenza? Lo sentiamo da subito. Per le verità d’esistenza, Leibniz ci dice che anche in questo caso il predicato è contenuto nel soggetto. Bisogna che “peccatore” sia contenuto nella nozione individuale d’Adamo, solo che: se peccatore è contenuto nella nozione individuale d’Adamo, è il mondo intero che è contenuto nella nozione individuale d’Adamo, rimontando per le cause e discendendo agli effetti, visto che è il mondo intero, capite che la proposizione “Adamo ha peccato” deve essere una proposizione analitica, soltanto che in questo caso l’analisi è infinita. L’analisi va all’infinito.
Che cosa può voler dire? Sembra voler dire questo: per dimostrare l’identità’ di “peccatore” e di “Adamo”, o l’identità’ di “chi attraversò il Rubicone” e “Cesare”, abbiamo bisogno questa volta di una serie infinita di operazioni. E’ chiaro che non siamo capaci, o che almeno sembra che non ne siamo capaci. Siamo capaci di un’analisi all’infinito? Leibniz è molto formale: no, voi non potrete, noi uomini, noi non possiamo. Allora, per orientarci nel dominio delle verità d’esistenza, dobbiamo aspettare l’esperienza. Allora perché abbiamo bisogno di tutta questa storia sulle verità analitiche? Aggiunge: si, ma l’analisi infinita è, in compenso, non solo possibile ma fatta nell’intelletto di Dio.
Ma ci viene in aiuto il fatto che Dio, lui che non ha limiti, lui che è infinito, possa fare l’analisi infinita? Ne siamo contenti, siamo contenti per lui, ma a prima vista ci si domanda cosa Leibniz ci stia raccontando. Ritengo che la nostra prima difficoltà sia questa: che cos’è l’analisi infinita? Ogni proposizione è analitica, solo che, c’è tutto un altro dominio delle nostre proposizioni che rimanda ad un’analisi infinita. Abbiamo una speranza: se Leibniz è un grande creatore del calcolo differenziale o dell’analisi infinitesimale, senza dubbio è un matematico, ed ha sempre distinto le verità filosofiche da quelle matematiche, e quindi non è questione di mischiare tutto; ma è impossibile pensare che, nel momento in cui egli scopre in metafisica una certa idea dell’analisi infinita, essa non abbia certe eco in rapporto a un certo tipo di calcolo che ha inventato lui stesso, cioè il calcolo dell’analisi infinitesimale.
Quindi, ecco la mia prima difficoltà: quando l’analisi va all’infinito, di quale tipo o quale è il modo dell’inclusione del predicato nel soggetto? In quale modo “peccatore” è contenuto nella nozione d’Adamo, una volta detto che l’identità di peccatore e di Adamo non può apparire se non in una analisi infinita? Cosa vuol dire analisi infinita quando sembra invece che non ci siano analisi se non sotto le condizioni di una finitezza ben determinata? E’ un bel problema.
Secondo problema. Ho appena illustrato una prima differenza tra le verità d’essenza e le verità d’esistenza. Nelle verità d’essenza l’analisi è finita, nelle verità d’esistenza l’analisi è infinita. Non è la sola, c’è una seconda differenza: secondo Leibniz, una verità d’essenza è tale che il contrario è impossibile, in altre parole è impossibile che 2 + 2 non faccia 4. Perchè? per la semplice ragione che io posso dimostrare l'identità di 4 con 2 + 2 alla fine di una serie di passaggi finiti. Quindi 2 + 2 = 5, possiamo dimostrare che è contraddittorio e che è impossibile. Adamo non peccatore, Adamo che non avrebbe peccato, prendo il contraddittorio di peccatore. E’ possibile. La prova è che, seguendo il grande criterio della logica classica – e al riguardo Leibniz resta nella logica classica -, io non posso pensare niente quando dico 2 + 2 = 5; io non posso pensare l’impossibile, come non posso pensare niente secondo questa logica quando dico cerchio quadrato. Ma posso pensare benissimo un Adamo che non avrebbe peccato. Le verità d’esistenza sono dette verità contingenti.
Cesare avrebbe potuto non attraversare il Rubicone. Ammirevole è la risposta di Leibniz: certo, Adamo avrebbe potuto non peccare, Cesare non attraversare il Rubicone. Soltanto che, ciò non era compossibile con il mondo esistente. Un Adamo peccatore include un altro mondo. Questo mondo era possibile in se stesso, un mondo in cui il primo uomo non avrebbe peccato è un mondo logicamente possibile, solo che non e’ compossibile con il nostro. Ciò vuol dire che Dio ha scelto un mondo nel quale Adamo pecchi. Adamo peccatore implicava un altro mondo: questo mondo era possibile ma non era compossibile con il nostro.
Perchè Dio ha scelto questo mondo? Leibniz lo spiegherà. Capite che a questo livello, la nozione di compossibilità diventa molto strana: che cosa mi dirà che due cose sono compossibili e che altre due sono incompossibili? Adamo non peccatore appartiene ad un mondo diverso dal nostro, e così anche Cesare non ha attraversato il Rubicone sarebbe stato un altro mondo possibile. Che cos’è questa relazione molto insolita di compossibilità? Capite che potrebbe essere la stessa domanda di che cos’è l’analisi infinita?, ma essa non ha lo stesso aspetto. Ed ecco che possiamo ricavarne un sogno, possiamo fare questo sogno su molti livelli. Voi sognate, e una specie di strega vi fa entrare in un palazzo; questo palazzo... (E’ il sogno di Apollodoro raccontato da Leibniz.) Apollodoro va a vedere una dea e questa dea lo porta in questo palazzo, e questo palazzo è composto da più palazzi. Leibniz ama molto tutto ciò, delle scatole che contengono altre scatole. In un testo che dovremo analizzare, spiega che nell’acqua c’è pieno di pesci, che nei pesci c’è acqua, e che nell’acqua di questi pesci ci sono pesci di pesci: è l’analisi infinita. L’immagine del labirinto lo persegue. Non la smette di parlare del labirinto del continuo. Questo palazzo ha la forma di una piramide, il vertice è verso l’alto, ma non c’è una fine. Poi mi rendo conto che ogni sezione della piramide costituisce un palazzo. In seguito, guardo più da vicino e, nella sezione più alta della mia piramide, più vicino alla punta, vedo un personaggio che fa una certa cosa. Poco più in basso, vedo lo stesso personaggio che fa un’altra cosa in un altro posto. Ancora più in basso lo stesso personaggio in un’altra situazione, come se ogni sorta di rappresentazione teatrale fosse recitata simultaneamente, del tutto diversa, in ognuno dei palazzi, con dei personaggi che hanno dei lineamenti comuni. E’ un grosso libro di Leibniz che si chiama Teodicea, vale a dire, la giustizia divina.
Voi capite, quello che vuol dire, il fatto è che ad ogni livello, è un mondo possibile. Dio ha scelto di far passare all’esistenza il mondo estremo, il più vicino alla punta della piramide. Su cosa si è basato per sceglierlo? Lo vedremo, non dobbiamo avere fretta perché sarà un problema difficile, i criteri della scelta di Dio. Ma, una volta detto che ha scelto tale mondo, questo mondo implicò Adamo peccatore; in un altro mondo, chiaramente tutto ciò è simultaneo, ci sono delle varianti, possiamo concepire altra cosa e ogni volta avremmo un mondo. Ognuno di essi è possibile. Sono incompossibili gli uni con gli altri, uno solo può passare all’esistenza. Ora, tutti tendono con tutte le loro forze di passare all'esistenza. La visione che Leibniz ci propone della creazione del mondo da parte di Dio diventa molto stimolante. Ci sono tutti questi mondi che si trovano nell’intelletto di Dio, ed ognuno di questi spinge con la pretensione di passare dal possibile all’esistente. Hanno un peso reale, in funzione delle loro essenze. In funzione delle essenze che contengono tendono a passare all’esistenza. E non è possibile perché non sono compossibili gli uni con gli altri: l’esistenza è come uno sbarramento. Una sola combinazione passerà. Quale? Immaginate già quale sarà la splendida risposta di Leibniz: sarà la migliore! E non la migliore in virtù di una teoria morale, ma in virtù di una teoria dei giochi. E non a caso Leibniz è uno dei fondatori della statistica e del calcolo dei giochi. E tutto questo si complicherà...
Che cos’è questa relazione di compossibilità? Ora voglio giusto segnalare un autore, oggi celebre, che è leibniziano. Cosa vuol dire essere leibniziani oggi? Credo che voglia dire due cose: una non molto interessante e una molto interessante. L’ultima volta, affermavo che il concetto è in un rapporto speciale con il grido. C’è una maniera non interessante di essere leibniziani o d’essere spinoziani oggi, quella per necessità di mestiere, dei tipi lavorano su un autore, ma c’è un’altra maniera di fare appello ad un filosofo. In questo caso, non è professionale. Sono dei tipi che possono non essere filosofi. Ciò che trovo formidabile nella filosofia, è quando un non filosofo scopre una specie di familiarità che non posso più chiamare concettuale, ma che coglie immediatamente una familiarità fra i suoi propri gridi e i concetti del filosofo. Penso a Nietzsche, aveva letto Spinoza molto presto e, in una lettera, dopo averlo riletto da poco, esclamava: stento a crederci! Stento a crederci! Non ho mai avuto una relazione con un filosofo come quella che ho avuto con Spinoza. E ciò mi interessa ancor di più quando accade a dei non filosofi. Come quando il romanziere inglese Lawrence esprime in poche linee lo sconvolgimento che gli da Spinoza. Grazie a Dio non diventa comunque filosofo. Cosa coglie? Che cosa vuol dire? Quando Kleist si imbatté in Kant, alla lettera, non si riprese. Che cos’e’ questa comunicazione? Spinoza ha scosso molti incolti... Borges e Leibniz. Borges, e’ un autore estremamente sapiente, che ha letto molto. Lavora sempre a due cose: il libro che non esiste...

(Fine banda sonora.)

… gli piacciono le storie poliziesche, Borges. In Finzioni, c’è il racconto “Il giardino dei sentieri che si biforcano”. Riassumo la storia mentre voi tenete in mente il famoso sogno della Teodicea. “Il giardino dei sentieri che si biforcano”, che cos’è? E’ il libro infinito, il mondo delle compossibilità. L’idea del filosofo cinese alle prese con il labirinto, è un’idea dei contemporanei di Leibniz. Appare in pieno XVII° secolo. Esiste un celebre testo di Malebranches che è l’intervista con il filosofo cinese, contiene cose molto curiose. Leibniz è affascinato dall’ Oriente, cita spesso Confucius. Borges ha fatto una copia conforme di Leibniz ma con una differenza essenziale: per Leibniz, tutti i mondi diversi in cui, che Adamo pecchi in un certo modo o che pecchi in un altro oppure che non pecchi per niente, un infinità di mondi che però si escludono gli uni con gli altri, sono incompossibili gli uni con gli altri. Tanto è vero che mantiene un principio di disgiunzione molto classico: o è questo mondo o è l’altro. Tanto che Borges, invece, mette tutte queste serie incompossibili nello stesso mondo. Ciò permette una moltiplicazione degli effetti. Leibniz non avrebbe mai ammesso che le incomposibilità facciano parte di uno stesso mondo. Perché? Ecco le nostre due difficoltà: la prima, è di sapere cos’è un analisi infinita; in secondo luogo, che cos’è questa relazione di d’incompossibilità? Labirinto dell’analisi infinita e labirinto della compossibilità.
La maggior parte dei commentatori di Leibniz, che io sappia, tenta infine di riportare la compossibilità al semplice principio di contraddizione. Quindi ci sarebbe una contraddizione fra Adamo non peccatore e il nostro mondo. Ma a riguardo, la lettera di Leibniz ci è parsa di tale natura da far si che ciò non sia possibile. Non è possibile poiché Adamo non peccatore non è contraddittorio in se e la relazione di compossibilità è assolutamente irriducibile alla semplice relazione di possibilità logica. Quindi provare a vederci una semplice contraddizione logica vorrebbe dire ancora una volta ridurre le verità d’esistenza alle verità d’essenza. In questo modo sarà difficile definire la compossibilità.
Sempre in questo paragrafo sulla sostanza, il mondo e la continuità, vorrei porre la domanda che cos’è un’analisi infinita? Vi chiedo di essere molto pazienti. Bisogna diffidare dei testi di Leibniz perché sono sempre adattati a dei corrispondenti ben determinati, e se io riprendo il suo sogno dovrei variarlo, e una variante del sogno sarebbe che, anche all’interno dello stesso mondo, ci sarebbero dei livelli di chiarezza e di oscurità tali che il mondo potrebbe essere presentato da tal o tal’ altro punto di vista.. Cosicché dobbiamo sempre sapere a chi sono rivolti i testi di Leibniz per poterli giudicare.
Ed ecco un primo tipo di testo di Leibniz in cui ci dice che in ogni proposizione il predicato è contenuto nel soggetto. Soltanto che esso è contenuto o in atto – attualmente – o virtualmente. Il predicato è contenuto nel soggetto, ma questa inclusione, questa inerenza, è o attuale o virtuale. Si ha voglia di dire che tutto ciò va molto bene. Conveniamo che in una proposizione del tipo Cesare ha attraversato il Rubicone, l’inclusione non è che virtuale, ovvero attraversare il Rubiconde è contenuto nella nozione di Cesare, ma non è che virtualmente contenuto. Secondo tipo di testo: l’analisi infinita sotto la quale peccatore è contenuto nella nozione di Adamo, è un’analisi indefinita, cioè io rimonterò da peccatore a un altro termine, poi a un altro termine ancora, ecc. Esattamente come se peccatore = I/2 + I/4 + I/8, ecc., all’infinito. Questo darebbe un certo statuto: diremmo che l’analisi infinita è un’analisi virtuale, è un’analisi che va verso l’ indefinito. Ci sono dei testi di Leibniz che ci dico tutto questo, per esempio nei Discorsi di metafisica, ma in questo libro, Leibniz presenta e propone la totalità del suo sistema ad uso di persone che conoscono poco la filosofia. Ora prendo un altro testo che sembra contraddire il primo. In un testo più sapiente, Della libertà, Leibniz impiega la parola virtuale, ma molto stranamente impiega questa parola non riguardo alle verità d’esistenza, la impiega riguardo alle verità d’essenza.
Questo testo è sufficiente per dire che non è possibile che la distinzione verità d’essenza/verità d’esistenza si riduca al fatto che nelle verità d’esistenza l’inclusione sia solo virtuale, poiché l’inclusione virtuale, è un caso delle verità d’essenza. In effetti, voi vi ricorderete che le verità d’essenza rinviano a due casi: la pura e semplice identità con cui si dimostra l’identità del predicato e del soggetto, e ricavarne un’ inclusione del tipo ogni numero divisibile per 12 è divisibile per 6 (io dimostro l’inclusione in base ad un’operazione finita). Ora, è per questo caso che Leibniz dice: ho fatto sorgere un’ identità virtuale. Quindi non basta dire che l’analisi infinita è virtuale.
Possiamo dire che è un’analisi indefinita? No, perché un’analisi indefinita sarebbe come dire che è un’analisi infinita solo per difetto della mia conoscenza, ovvero sarebbe come dire che non riesco ad arrivare fino alla fine. Invece Dio, con il suo intelletto, arriverebbe fino alla fine. Potremmo dirla così? No, non è possibile che Leibniz voglia dire questo perché l’indefinito non è mai esistito per lui. Sarebbe una nozione incompatibile, anacronistica. Indebito, non è un qualcosa che appartiene a Leibniz. Cos’è precisamente l’indefinito? Che differenza c’è fra l’indefinito e l’infinito?
L’indefinito, è il fatto che io debba sempre passare da un termine ad un altro termine, sempre, senza sosta, ma senza che il termine seguente al quale pervengo preesista già. E’ il mio proprio procedimento che consiste a far esistere. Se io dico 1 = ¼ + 1/8, ecc., non dobbiamo credere che “ecc.” preesista, è il mio processo che ogni volta lo fa sorgere, cioè l’indefinito esiste in un procedimento per il quale io non smetto di respingere il limite al quale mi oppongo. Niente preesiste. Fu Kant il primo a dare uno statuto all’indefinito, e questo statuto sarà precisamente che l’indefinito rinvia a un insieme che non è separabile dalla sintesi successiva che lo percorre. Ovvero che i termini della serie indefinita non preesistono alla sintesi che va da un termine all’altro. Leibniz non conosce tutto questo. Inoltre, l’indefinito gli sembra puramente convenzionale o simbolico – perché? C’è un autore che ha detto molto bene ciò che caratterizza i filosofi del XVII° secolo, Merleau-Ponty. Ha fatto un piccolo testo sui filosofi detti classici del XVII° sec., e prova a caratterizzarli in vivo modo, diceva che quello che c’è d’incredibile in questi filosofi, è una maniera innocente di pensare a partire dall’infinito e in funzione dell’infinito. E’ questo il secolo classico. Questo è molto più intelligente che dire che fu un epoca in cui la filosofia era mischiata con la teologia. E’ facile dir così. Bisogna dire che se la filosofia è ancora mischiata con la teologia nel XVII° secolo, ciò avvenne perché in quel momento la filosofia non era separabile da una maniera innocente di pensare in funzione dell’infinito.
Quali differenze ci sono fra l’infinito e l’indefinito? L’indefinito è del virtuale: in effetti, il termine seguente non preesiste prima che il mio processo l’abbia costituito. Che cosa vuol dire? L’infinito, è dell’attuale, non c’è dell’infinito se non in atto. Allora ci possono essere ogni sorta di infiniti. Pensate a Pascal. E’ un secolo in cui non si smetterà di distinguere diversi ordini di infiniti, e il pensiero degli ordini di infiniti è fondamentale in tutto il XVII° secolo. Ci ricadrà addosso, questo pensiero alla fine del XIX° e nel XX° secolo, precisamente con la teoria degli insiemi detti infiniti. Con gli insiemi infiniti ritroviamo qualcosa che lavorava dalla base la filosofia classica, vale a dire la distinzione degli ordini di infiniti. Ora, quali sono i grandi nomi in questa ricerca sugli ordini di infinito? Chiaramente Pascal, Spinoza con la famosa lettera sull’infinito, e poi Leibniz che subordinò tutta una struttura matematica all’analisi dell’infinito e gli ordini di infiniti. Ossia, in quale senso possiamo dire che un ordine di infiniti è più grande di un altro? Che cos’è un infinito che è più grande di un altro infinito?, ecc. Maniera innocente di pensare a partire dall’infinito, ma in nessun senso confusamente poiché viene introdotta ogni sorta di distinzione. Nel caso delle verità d’esistenza, l’analisi di Leibniz è chiaramente infinita. Non è indefinita. Quindi, quando impiega le parole di virtuale, ecc., c’è un testo formale che da ragione a questa interpretazione che io cerco di delineare, è un testo tratto da Della libertà in cui Leibniz dice esattamente questo: “quando si tratta di analizzare l’inclusione del predicato peccatore nella nozione individuale Adamo, Dio vede certamente, ma non la fine della risoluzione, fine che non ha luogo.” Quindi, in altri termini, anche per Dio questa analisi non ha fine. Allora, voi mi direte che è dell’indefinito anche per Dio? No, non è dell’indefinito poiché tutti i termini dell’analisi sono dati. Se era dell’indefinito, non ci sarebbero tutti i termini, sarebbero conosciuti mano a mano. Non sarebbero già preesistenti. In altri termini, a quale risultato arriviamo in un’analisi infinita: voi avete un passaggio di elementi infinitamente piccoli gli uni negli altri, essendo data l’infinità degli elementi infinitamente piccoli. Diremo di un tale infinito che è attuale, poiché la totalità degli elementi infinitamente piccoli è data. Voi mi direte che allora si può arrivare alla fine! No, per natura, voi non potete arrivare alla fine, visto che si tratta di un insieme infinito. La totalità degli elementi è data, e voi passate da un elemento ad un altro, ed avete quindi un insieme infinito di elementi infinitamente piccoli. Voi passate da un elemento ad un altro: voi fate un’ analisi infinita, i.e. un’analisi che non ha fine, né per voi né per Dio.
Che cosa vedete se fate questa analisi? Supponiamo che ci sia solo Dio che può farla: voi fate dell’indefinito perché il vostro intelletto è limitato, ma Dio, lui fa dell’infinito. Non vede la fine dell’analisi perché non c’è fine all’ analisi, ma fa l’analisi. Inoltre, tutti gli elementi dell’analisi gli sono presenti in un infinito attuale. Ciò vuol dire che peccatore è legato ad Adamo. Peccatore è un elemento. E’ legato alla nozione individuale di Adamo per un infinità di altri elementi attualmente dati. D’accordo, è tutto il mondo esistente, ovvero tutto questo mondo compossibile che è passato all’esistenza. Incontriamo qui qualcosa di molto profondo. Quando faccio l’analisi, io passo da cosa a cosa? Passo da Adamo peccatore a Eva tentatrice, da Eva tentatrice a serpente cattivo, poi a mela. E’ un’analisi infinita ed è questa analisi infinita che mostra l’inclusione di peccatore nella nozione individuale di Adamo. Che cosa vuol dire: elemento infinitamente piccolo? Perché il peccato è un elemento infinitamente piccolo? Perché la mela è un elemento infinitamente piccolo? Perché attraversare il Rubicone è un elemento infinitamente piccolo? Capite cosa voglia dire? Non ci sono elementi infinitamente piccoli, e allora elemento infinitamente piccolo è evidente che vorrà dire, neanche a dirlo, un rapporto infinitamente piccolo fra due elementi. Si tratta di rapporti, non si tratta di elementi. In altri termini, un rapporto infinitamente piccolo fra due elementi, che cosa può essere? Che cosa ci cambia se diciamo che non si tratta di elementi infinitamente piccoli, ma bensì di rapporti infinitamente piccoli fra due elementi? Voi capirete che se io parlo a qualcuno che non ha nessuna idea del calcolo differenziale, potremmo dirgli che sono degli elementi infinitamente piccoli. Leibniz ha ragione. Se è qualcuno che ne ha una conoscenza molto vaga, bisognerà che capisca che sono dei rapporti infinitamente piccoli fra elementi finiti. Se è qualcuno di molto informato sul calcolo differenziale, io potrei forse dirgli altre cose. L’analisi infinita che dimostrerà l’inclusione del predicato nel soggetto al livello delle verità d’esistenza, essa non procede per dimostrazione d’una identità, anche virtuale. Non è questo. Ma Leibniz, in un altro cassetto, ha un’altra formula da darci: l’identità, regola le verità d’essenza, non regola le verità d’esistenza – ogni volta dice il contrario, ma non ha nessuna importanza, domandatevi a chi lo dice. Ma allora cos’è? Ciò che lo interessa a livello di verità d’esistenza, non è l’identità del predicato e del soggetto, ma passare da un predicato ad un altro, ecc., dal punto di vista di un’analisi infinita, cioè del massimo di continuità. In altri termini, è l’identità che regola le verità d’essenza, ma è la continuità che regola le verità d’esistenza. E che cos’è un mondo? Un mondo è definito per la sua continuità. Che cosa separa due mondi incompossibili? Il fatto che ci sia discontinuità fra i due mondi. Che cosa definisce un mondo compossibile? La compossibilità di cui è capace. Che cosa definisce il migliore dei mondi? E’ il mondo il più continuo. Il criterio di scelta di Dio sarà la continuità. Di tutti i mondi incompossibili gli uni con gli altri e possibili in se stessi, Dio farà passare all’esistenza quello che realizza il massimo di continuità. Perché il peccato di Adamo è compreso nel mondo che ha il massimo di continuità? Bisogna credere che il peccato di Adamo è una formidabile connessione diretta fra il peccato di Adamo e l’incarnazione e la redenzione di Cristo. C’è continuità. Ci sono delle serie che vanno ad inscatolarsi al di là delle differenze di tempo e di spazio. In altri termini, nel caso delle verità d’essenza, io dimostravo un’identità in cui facevo vedere un' inclusione; nel caso delle verità d’esistenza, io testimonierò una continuità assicurata dai rapporti infinitamente piccoli fra due elementi. Due elementi saranno in continuità nel momento in cui potrò assegnare un rapporto infinitamente piccolo fra questi due elementi.
Sono passato dall’idea di elemento infinitamente piccolo a un rapporto infinitamente piccolo fra due elementi, ma non basta. Ci vuole qualcosa di più. Poiché ci sono due elementi, c’è una differenza tra i due: fra il peccato di Adamo e la tentazione di Eva, c’è una differenza; ma qual è la formula della continuità? Si potrà definire la continuità come l’atto di una differenza in quanto essa tende a svanire. La continuità, è una differenza che tende a scomparire.
Che cosa vuol dire che c’è continuità tra la seduzione di Eva e il peccato di Adamo? Il fatto è che la differenza fra i due è una differenza che tende a svanire. Direi quindi che le verità d’essenza sono regolate dal principio d’identità, le verità d’esistenza sono regolate dalla legge di continuità o dalle differenze svanenti, non fa differenza.
Quindi tra peccatore e Adamo voi non potrete mai dimostrare un’identità logica, ma voi potrete dimostrare – e la parola dimostrazione non cambierà di senso -, una continuità, cioè una o più differenze che tendono a svanire. Un’analisi infinita è un’analisi del continuo operante per differenze svanenti.
Ciò rinvia ad una certa simbolica, simbolica del calcolo differenziale o dell’analisi infinitesimale. Ed è nello stesso momento che Newton e Leibniz teorizzano il calcolo differenziale. Ora, l’interpretazione del calcolo differenziale con le categorie che tendono a svanire, appartiene a Leibniz. In Newton… tutti e due lo inventano veramente allo stesso tempo, l’armatura logica e teorica è molto diversa in Leibniz e in Newton, lo stesso tema della differenziale concepita come differenza svanente, è interamente di Leibniz. Del resto, ci tiene moltissimo, e ci fu una grande polemica fra i newtoniani e Leibniz. La nostra storia si fa più precisa: che cos’è questa differenza svanente? [Gilles Deleuze fa un disegno con il gesso]. Le equazioni differenziali, oggi, sono fondamentali. Non c’è fisica senza equazione differenziale.
Matematicamente, oggi, il calcolo differenziale si è tolto di dosso ogni considerazione sull’infinito – la specie di statuto assiomatico del calcolo differenziale per cui non è più assolutamente questione d’infinito appare alla fine del XIX° secolo. Ma ritorniamo al tempo di Leibniz, mettetevi nei panni di un matematico: che cosa farà nel momento in cui si troverà davanti a delle grandezze o delle quantità di potenza diversa, delle equazioni le cui variabili hanno diversa potenza, equazioni del tipo ax2 + y? Voi avete una quantità alla potenza 2 e una quantità alla potenza 1. Come fare per confrontarle? Voi sapete tutta la storia delle quantità incommensurabili. Nel XVII° secolo, le quantità a potenza diversa hanno preso un nome simile: sono le quantità incomparabili. Tutta la teoria delle equazioni si blocca, nel XVII° secolo, su questo problema che è un problema fondamentale, anche nell’algebra la più semplice: a cosa serve il calcolo differenziale? Il calcolo differenziale vi permette di procedere ad una comparazione diretta di quantità a potenza diversa. E non solo a questo. Il calcolo differenziale trova il suo livello più proprio di applicazione quando ci troviamo davanti a degli incomparabili, cioè davanti a delle quantità di potenza diverse. Perché? In ax2 + y, supponiamo che in qualche modo voi estraiate dx e dy. Dx è la differenziale di x, dy è la differenziale di y. Che cosa vuol dire? Lo diremo verbalmente, per convenzione diremo che dx o dy, è la quantità infinitamente piccola che supponiamo aggiunto o sottratta da x o da y. Ecco un' invenzione! La quantità infinitamente piccola… cioè la più piccola variazione della quantità considerata. Essa è inassegnabile per convenzione. Quindi dx = 0 in x, è la più piccola quantità per cui possa variare x, quindi uguale a zero. Dy = 0 in rapporto a y. Comincia a prendere corpo la nozione di differenza svanente. E’ una variazione o una differenza, dx o dy; essa è più piccola di qualsiasi quantità data o che potrebbe essere data. E’ un sistema matematico. In un certo senso è qualcosa di folle, in un altro operativo. Di cosa? Ecco cosa è formidabile nel simbolismo del calcolo differenziale: dx = 0 per rapporto a x, la più piccola differenza, il più piccolo accrescimento di cui sia capace la quantità x o la quantità y inassegnabile, è l’infinitamente piccolo.
Miracolo, dy non è uguale a
dx
Zero e anche di più: dy ha una quantità finita perfettamente esprimibile.
dx
Sono dei relativi, unicamente dei relativi. Dx non è niente in rapporto a x, dy non è niente in rapporto a y, ma ecco che dy è qualcosa.
Dx
Stupefacente, ammirevole, grande scoperta matematica.
E’ qualcosa, perché in un esempio come ax2 – by + c, voi avete due potenze delle quali voi avete delle quantità incomparabili: y2 e x. Se voi considerate il rapporto differenziale, esso non è zero, ma è determinato, è determinabile.
Il rapporto dy vi da modo di mettere a confronto le due quantità
Dx
Incomparabili che avevano potenze differenti poiché attua una depotenzializzazione delle quantità. Quindi vi da un modo diretto di confrontare delle quantità incomparabili di potenze diverse. Da questo momento tutta la matematica, tutta l’algebra, tutta la fisica si inscriveranno nel simbolismo del calcolo differenziale… […] E’ questo rapporto fra dx e dy che ha reso possibile questa specie di compenetrazione della realtà fisica e del calcolo matematico. C’è un piccolo appunto di tre pagine che si chiama “Giustificazione del calcolo degli infinitesimali con quello dell’ algebra ordinaria”. Con questo, capirete tutto. Leibniz prova a spiegare che in un certo modo il calcolo differenziale era già in funzione ancor prima di esser scoperto, e che non poteva essere altrimenti, anche al livello dell’algebra la più ordinaria.
[Lunga spiegazione di Gilles Deleuze alla lavagna, con disegno: costruzione dei triangoli] X non è uguale a y, né in un caso né nell’altro poiché sarebbe contrario ai dati stessi della costruzione del problema. Nella misura in cui in questo caso voi potrete scrivere x = c, c ed e sono degli zero.
Y e
sono, come dice lui, dei niente, ma non dei niente in assoluto, sono dei niente rispettivamente.
Ovvero sono dei niente ma che conservano la differenza del rapporto. Quindi c non diventa uguale a e poiché resta proporzionale a x e x non è uguale a y.
Y
E’ una giustificazione del vecchio calcolo differenziale, e l’interesse di questo testo è che è una giustificazione fatta con l’algebra più facile o ordinaria. Questa giustificazione non mette in causa niente della specificità del calcolo differenziale.
Leggo questo testo molto bello: “Quindi nel caso presente, ci sarà x-c = x. Supponiamo che questo caso sia compreso sotto una regola generale e che tuttavia c ed e non saranno dei niente in assoluto poiché tengono insieme la ragione di cx per xy, o quella che c’è fra il seno intero o raggio e la tangente che tocca l’angolo in c, il quale angolo, noi abbiamo supposto che rimanga sempre lo stesso. Poiché se c, C ed e fossero dei niente in assoluto in questo calcolo ridotto al caso della coincidenza dei punti c, e ed a, siccome un niente vale l’altro allora c ed e sarebbero uguali e dell’equazione o analogia x = c faremmo x = 0 = 1.
Y ed e ed y 0
Sarebbe come dire che x = y ovvero un’assurdità.”
“così troviamo nel calcolo dell’algebra le tracce del calcolo trascendente delle differenze (i.e. il calcolo differenziale), e le sue stesse singolarità per cui qualche sapiente si fa degli scrupoli, e anche il calcolo algebrico non potrebbe andare avanti se dovesse conservare i suoi vantaggi dei quali uno dei più considerabili è la generalità che gli è data al fine di poter comprendere tutti i casi.”
E’ esattamente in questo modo che io posso che io posso considerare il riposo come un movimento infinitamente piccolo, o che il cerchio è il limite di una serie infinita di poligoni i cui lati aumentano all’infinito. Che cosa c’è che possiamo mettere a confronto in tutti questi esempi? Bisogna considerare il caso in cui c’è un solo triangolo come nel caso dei due triangoli somiglianti opposti alla loro estremità. Ciò che Leibniz ha dimostrato in questo testo, è come e in quali circostanze un triangolo può essere considerato come nel caso estremo dei due triangoli somiglianti opposti alla loro estremità. Qui forse sentite che stiamo per dare al “virtuale” il senso che cercavamo. Potrei dire che nel caso della mia seconda figura in cui c’è solo un triangolo, l’altro triangolo c’è, ma c’è solo virtualmente. C’è virtualmente poiché a contiene virtualmente e, c è distinto da a. Perché c ed e restano distinti da a quando non esistono più. C ed e restano distinti da a quando non esistono più perché essi intervengono in un rapporto che, lui, continua ad esistere quando i termini sono svaniti. E’ in questo modo che il riposo sarà considerato come il caso particolare di un movimento, ovvero un movimento infinitamente piccolo. Nella mia seconda figura, xy, non dirò affatto che è il triangolo CEA che è sparito, nel senso comunemente inteso, ma dobbiamo dire che allo stesso tempo è divenuto inassegnabile e pertanto è perfettamente determinato visto che in questo caso c = 0, e = 0, ma c non è uguale a zero.
E
C è un rapporto perfettamente determinato uguale a x.
e y
Quindi è determinabile e determinato, ma è inassegnabile. Allo stesso modo il riposo è un movimento perfettamente determinato, ma è un movimento inassegnabile; uguale il cerchio è un poligono inassegnabile e tuttavia perfettamente determinato.
Capirete ora cosa vuol dire virtuale. Il virtuale non significa affatto l’indefinito – e qui tutti i testi di Leibniz possono testimoniarlo. Attuò un’ operazione diabolica: prese la parola virtuale, senza dire niente – è un suo diritto -, gli darà una nuova accezione molto rigorosa ma senza dire niente. Non lo dirà se non in altri testi: non voleva più dire andare verso l’indefinito, ma voleva dire inassegnabile e tuttavia determinato.
E’ una concezione del virtuale allo stesso tempo molto nuova e molto rigorosa. C’era ancora bisogno della tecnica e dei concetti per far sì che questa espressione, un po’ misteriosa ai suoi inizi, prendesse un senso. E’ inassegnabile poiché c è divenuto uguale a zero, e poiché e è divenuto uguale a zero. Tuttavia è completamente determinato visto che c, ovvero 0 non è uguale a
e 0
zero né a 1, è uguale a x.
Y
Inoltre aveva molto talento per fare il professore. Riusciva a spiegare anche a qualcuno che avesse soltanto delle nozioni di algebra elementare cos’è il calcolo differenziale. Senza presupporre nessuna nozione sul calcolo differenziale.
L’idea che ci sia continuità nel mondo, mi sembra ci siano troppi commentatori di Leibniz che fanno più teologia di quanto Leibniz avesse auspicato: si accontentano di dire che l’analisi infinita, è nell’intelletto di Dio, e ciò è vero seguendo alla lettera i testi; ma ci troviamo nella situazione in cui abbiamo forse, con il calcolo differenziale, l’artificio non per uguagliare l’intelletto di Dio, ciò è sicuramente impossibile, ma il calcolo differenziale ci da un artificio tale da poterci permettere di operare un’approssimazione ben fondata di ciò che accade nell’intelletto di Dio così come possiamo avvicinarlo grazie a questo simbolismo del calcolo differenziale; poiché dopo tutto anche Dio opera per simbolica, non la stessa chiaramente. Quindi, questa approssimazione della continuità sta nel fatto che il massimo di continuità è assicurato quando dato un caso, il caso estremo o contrario di questo può essere considerato da un certo punto di vista come incluso nel caso definito precedentemente.
Voi definite il movimento, oppure definite il poligono, poco importa, considerando il caso estremo o contrario: il riposo, il cerchio sprovvisto di angoli. La continuità, è l’instaurazione del processo secondo il quale i casi estrinsechi, il riposo contrario al movimento, il cerchio contrario al poligono, possono essere considerati come inclusi nella nozione del caso intrinseco. C’è continuità quando il caso estrinseco può essere considerato come incluso nella nozione del caso intrinseco.
Leibniz ha appena mostrato il perché. Ritroviamo la formula della predicazione: il predicato è incluso nel soggetto.
Fate attenzione. Io chiamo “caso generale estrinseco” il concetto di movimento che ricopre tutti i movimenti. In rapporto a questo primo caso, io chiamo caso estrinseco il riposo oppure il cerchio in rapporto a tutti i poligoni, o anche il triangolo unico in relazione a tutti i triangoli combinati. Mi incarico di costruire un concetto che implichi tutto il simbolismo differenziale, un concetto che, allo stesso tempo, corrisponda al caso generale intrinseco e che, tuttavia, comprenda anche il caso estrinseco. Se io ci riesco, posso dire a tutti gli effetti che il riposo è un movimento infinitamente piccolo, proprio come io dico che il mio triangolo singolo è l’opposizione di due triangoli somiglianti opposti alla loro estremità, semplicemente, l’uno dei due è divenuto inassegnabile. A questo punto, c’è continuità del poligono col cerchio, continuità del riposo col movimento, continuità dei due triangoli somiglianti opposti dalla loro estremità ad un solo triangolo.
In pieno XIX° secolo, un grande matematico, che si chiamava Poncelet, creò la geometria proiettiva nel suo senso più moderno – era completamente leibniziano. La geometria proiettiva è interamente fondata su quello che Poncelet chiamava un assioma di continuità molto semplice: se voi prendete un arco di cerchio tagliato in due punti da una retta, se poi voi fate salire la retta, c’è un momento in cui essa tocca l’arco del cerchio in un solo punto, e un momento in cui essa esce dal cerchio, non lo tocca più in nessun punto. L’assioma di continuità di Poncelet reclama la possibilità di trattare il caso della tangente come un caso estremo, ovvero non è che uno dei punti sia sparito, i due punti sono sempre presenti, ma virtuali. Quando tutto esce, non è che i due punti siano spariti, sono sempre presenti, ma tutti e due sono virtuali. E’ l’assioma di continuità, precisamente, che permette tutto un sistema di proiezione, tutto un sistema proiettivo. I matematici manterranno ciò integralmente – è una tecnica formidabile.
C’è qualcosa di disperatamente comico in tutto questo, ma non disturberà per niente Leibniz. Ed anche a questo riguardo i commentatori si comportano stranamente. Ci ingarbugliamo fin dall’inizio in questo campo nel quale si tratta di mostrare che le verità d’esistenza, non sono la stessa cosa che le verità d’essenza o verità matematiche. Per mostrarlo, o ci sono delle proposizioni molto generali piene di genio presenti in Leibniz, ma che ci lasciano perplessi: l’intelletto di Dio, l’analisi infinita – e allora, cosa vuol dire tutto ciò? Ed infine quando si tratta di mostrare in cosa le verità d’esistenza sono irriducibili alle verità matematiche, quando si tratta di mostrarlo concretamente, tutto ciò che Leibniz dice di convincente, è matematico. E’ divertente, no?
Una persona potrebbe obiettare a Leibniz: ci annunci che ci parlerai dell’irriducibilità delle verità d’esistenza, e questa irriducibilità tu non puoi definirla concretamente se non utilizzando delle nozioni puramente matematiche... Che cosa risponderebbe Leibniz? In ogni sorta di testo si è sempre voluto farmi dire che il calcolo differenziale designa una realtà. Io non l’ho mai detto – risponderebbe Leibniz -; il calcolo differenziale, è una convenzione ben fondata. Leibniz tiene moltissimo al fatto che il calcolo differenziale sia solo un sistema simbolico, non designa una realtà, designa una maniera di trattare la realtà. Cos’è una convenzione ben fondata? Non è in rapporto alla realtà che può dirsi convenzione, ma in rapporto alla matematica. E’ qui che non si deve creare un controsenso. Il calcolo differenziale, è simbolismo, ma in rapporto alla realtà matematica, per niente in rapporto alla realtà del reale. E’ in rapporto alla realtà matematica che il sistema del calcolo differenziale è una finzione. Impiega spesso anche l’espressione “finzione ben fondata”. E’ una finzione ben fondata in rapporto alla realtà della matematica. In altri termini, il calcolo differenziale mette in moto dei concetti che non possono giustificarsi dal punto di vista dell’algebra classica, o dal punto di vista dell’aritmetica. E’ evidente. Delle quantità che non sono niente e non sono uguali a zero, è un non senso aritmetico, ciò non ha né realtà aritmetica, né realtà algebrica, è una finzione. Quindi, a mio avviso, egli non intendeva dire che il calcolo differenziale non designi niente di reale, vuole dire che il calcolo differenziale è irriducibile alla realtà matematica. E’ quindi una finzione in questo senso, ma proprio in quanto finzione, può farci pensare l’esistenza.
In altri termini, il calcolo differenziale è una specie di unione della matematica e dell’esistente, in altre parole: è la simbolica dell’esistente. Proprio perché è una finzione ben fondata in rapporto alla verità matematica esso è un modo di esplorazione fondamentale e reale della realtà d’esistenza. Capirete dunque cosa vuol dire “svanente”, “differenza svanente”: quando il rapporto continua anche se i termini del rapporto sono svaniti. Il rapporto c nel momento in cui c e c sono svaniti, cioè coincidenti con a. Avete così costruito una continuità con il calcolo differenziale.
Leibniz è poi anche più estremo, quando dice: capirete che nell’intelletto di Dio, fra il predicato peccatore e la nozione di Adamo, c’è una continuità. C’è una continuità per differenza svanente a tal punto che quando crea il mondo, Dio non fa che calcolare. E che calcolo! Chiaramente non è un calcolo aritmetico... a riguardo oscilla tra due spiegazioni. Quindi, Dio fa il mondo calcolando. Dio calcola, il mondo si crea. L’idea di un Dio giocatore, la troviamo dappertutto. Possiamo sempre dire che Dio ha fatto il mondo giocando, ma tutti l’hanno gia detto. Non è molto interessante. Ma i giochi, non si assomigliano. C’è un testo di Eraclito, in cui si parla del bambino giocatore che veramente costituisce il mondo. Gioca, ma a cosa? A cosa giocano i greci e i bambini greci? Diverse traduzioni danno giochi diversi. Ma Leibniz non dirà questo: quando si spiega sul gioco, ha due spiegazioni. Nei problemi di pavimentazione, a cavallo tra i problemi di matematica e d’architettura: data una superficie, con quale figura riempirla completamente? Problema più complicato: se prendete una superficie rettangolare che voi volete pavimentare con dei cerchi, voi non la riempirete completamente. Con dei quadrati, la riempireste completamente? Dipende dalla misura. Con dei rettangoli? Uguali o non uguali? Poi, se voi supponete due figure, le quali si combinano per riempire completamente una spazio? Se voi volete pavimentare con dei cerchi, con quale altra figura riempireste i vuoti? O vi arrendete a non riempire il tutto... Vedete che ciò è molto legato al problema della continuità. Se voi decidete di non riempire tutto, in quali casi e con quali figure e quali combinazioni di figure diverse riuscireste a riempire il massimo possibile? Questo chiama in causa degli incommensurabili, mette in gioco degli incomparabili – tutto ciò appassiona Leibniz, i problemi di pavimentazione.
Lui, quando dice che Dio fa esistere e sceglie il migliore dei mondi possibili, l’abbiamo visto, sarebbe giudicare Leibniz prima che abbia parlato: il migliore dei mondi possibili, questa è stata la crisi del leibnizianismo, da qui l’anti-leibnizianismo generalizzato del XVIII° secolo: non hanno sopportato la storia del migliore dei mondi possibili.
Voltaire, aveva ragione Voltaire, aveva un’ esigenza filosofica che non fu evidentemente risolta da Leibniz, come sappiamo, dal punto di vista della politica. Quindi, non poteva perdonare Leibniz. Ma se accettiamo di procedere in questo cammino, che cosa vorrà dire Leibniz, con il migliore dei mondi possibili? Una cosa molto semplice: ci sono più mondi possibili, solo che essi non sono compossibili gli uni con gli altri, Dio sceglie il migliore, e il migliore non può essere quello in cui si soffre il meno possibile. L’ottimismo razionalista, è anche di una crudeltà infinita; non è per niente un mondo in cui non si soffrirebbe, ma il mondo che realizza il massimo di cerchi. Se oso fare una metafora inumana, è perché il cerchio soffre nel momento in cui diventa soltanto un’affezione del poligono. Quando il riposo è solo affezione del movimento, immaginate la sofferenza del riposo. Semplicemente, è il migliore dei mondi perchè realizza il massimo di continuità. Altri mondi erano possibili, ma avrebbero realizzato meno continuità. Questo mondo è il più bello, il più armonioso, unicamente sotto il peso di questa frase senza pietà: perché effettua il massimo di continuità possibile. Poi, se ciò si fa a prezzo della vostra carne e del vostro sangue, poco importa. Dio non è soltanto giusto, cioè persegue il massimo di continuità, ma avendo allo stesso tempo anche altre pretese, vuole variare il suo mondo. Allora Dio nasconde questa continuità. Mette un segmento che dovrebbe essere in continuità con l’altro, questo segmento lo mette altrove per nascondere le sue strade. Noi, non rischiamo di ritrovarci. Questo mondo si fa alle nostre spalle. E’ evidente allora, che il XVIII° secolo non trovi tutta questa storia di Leibniz molto appagante. Capite allora il problema della pavimentazione: il migliore dei mondi sarà quello le cui figure e le forme riempiranno il massimo di spazio-tempo lasciando il minimo di vuoto.
Seconda esplicazione di Leibniz, e questa è ancora più forte: il gioco degli scacchi. Come fra la frase d' Eraclito che fa allusione a un gioco greco e Leibniz, che fa allusione al gioco degli scacchi, c’è tutta la differenza che c’è fra i due giochi nel momento stesso in cui la formula comune “Dio gioca” poteva far credere che fosse una specie di beatitudine. Ecco come Leibniz concepisce il gioco degli scacchi: la scacchiera, è uno spazio; i pezzi, sono delle nozioni. Quel' è la miglior mossa da fare con gli scacchi, o il migliore insieme di mosse? La miglior mossa o insieme di mosse, è quella che fa si che un numero determinato e con dei valori determinati di pezzi si impadronisce o occupa il massimo di spazio, essendo lo spazio totale quello della scacchiera. Si devono piazzare i propri pedoni in modo tale che comandino più spazio possibile. Perché sono solo delle metafore? Anche qui c’è una specie di principio di continuità – il massimo di continuità. Cosa c’è che non va, sia nella metafora del gioco degli scacchi che in quella della pavimentazione? E’ che in tutti e due i casi, si fa riferimento a un ricettacolo. Si presentano le cose come se i mondi possibili rivalizzassero per incarnarsi in un ricettacolo determinato. Nel caso della pavimentazione, è la superficie da pavimentare, nel caso degli scacchi è la scacchiera. Ma nelle condizioni della creazione del mondo, non ci sono ricettacoli prestabiliti.
Dobbiamo quindi dire che il mondo che passa all’esistenza è quello che realizza in se stesso il massimo di continuità, cioè che contiene la più grande quantità di realtà o di essenza. Non posso dire d’esistenza, poiché esisterà il mondo che contiene, non la più grande quantità d’esistenza, ma la più grande quantità d’essenza sotto le specie della continuità. La continuità, è in effetti precisamente il modo per contenere il massimo di quantità di realtà.
Ecco, è una visione molto bella, come filosofia. In questo paragrafo ho risposto alla domanda: che cos’è l’analisi infinita? Non ho ancora risposto alla domanda: che cos’è la compossibilità? Ecco.